Metà volontari (a 430 euro al mese) vivono nelle regioni meridionali. Ci sono pochi fondi: una domanda su due non viene accolta
È un esercito pacifico, solidale e volontario ma retribuito. È fatto di giovani dai 18 ai 28 anni, quasi tutto al femminile (7 su 10 sono ragazze, anche se il numero dei ragazzi cresce), la maggior parte diplomati ma tanti anche con la laurea. Vogliono fare un’esperienza, umana e professionale, utilizzare un anno del loro tempo per aiutare gli altri e diffondere la cultura della pace, per imparare ad essere cittadini attivi, e anche per guadagnare qualche soldo, un mini–stipendio di 430,80 euro al mese.
Sono i ragazzi del Servizio civile nazionale, che dai 181 del 2001 sono passati ai 27.011 di quest’anno. E tuttavia, dopo un periodo di boom di domande, il Servizio civile nazionale sta attraversando un momento di crisi. Ci sono meno soldi in Finanziaria, quindi meno progetti hanno trovato copertura, e soltanto poco più della metà delle domande dei ragazzi viene accolta. Così anche i giovani si stanno disaffezionando perché quasi uno su due finisce per rimanere fuori. Le domande di partecipazione ai bandi sono passate dalle 96mila di maggio 2005 a poco meno di 91mila nel 2006, a circa 76mila e 500 del 2007, fino a 62.458 del 2008.
Una volta era l’obiezione di coscienza. Poi, con la sospensione della leva obbligatoria, il Servizio civile nazionale è diventato un istituto autonomo della Repubblica che ha sempre come finalità ultima la «difesa della patria», ma che coniuga questa difesa in molti modi diversi. Nei settori della solidarietà, della pace, dell’ambiente, in quello storico–artistico, culturale e della protezione civile. A gestirlo è l’Ufficio nazionale del Servizio civile, UNSC, sotto la presidenza del Consiglio dei ministri. Dopo i due anni del governo Prodi durante i quali ad occuparsene era stato il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero, la delega è tornata nelle mani del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, che già l’aveva seguito dal 2001 al 2005. Nonostante la crisi economica e i tagli in Finanziaria, Giovanardi dichiara di essere «riuscito a trovare la copertura per 30-40 mila domande, quindi anche nel 2009 il bando sarà fatto ». Ma è prevedibile che il numero di domande accolte sarà ancora inferiore a quello del 2008.
«È vero che quasi la metà dei ragazzi resta escluso — spiega Giovanardi — ma è anche vero che il Servizio civile ha avuto una crescita impetuosa negli ultimi 6 anni. E le spese sono aumentate. Mentre il sistema cresceva si sono evidenziate oltre alle luci anche alcune ombre. La maggioranza delle domande non accolte provengono dal Sud, dove capita, per esempio, che per 10 posti ci siano 20–30 domande, mentre al Nord succede spesso il contrario, per esempio per 20 posti disponibili arrivano soltanto 5–10 domande».
C’è poi il dato atipico della Puglia e della Campania, un terzo di tutti i volontari avviati al Servizio civile è di quelle sole due Regioni. «È evidente — è la spiegazione di Giovanardi — che lì lo strumento viene usato più come ammortizzatore sociale, perché in alcune zone depresse del Paese 430 euro al mese aiutano molto».
Quanto ai ragazzi del Nord, che invece più spesso trovano lavoro rispetto ai coetanei del Sud una volta finite le superiori, «l’obbligo attuale — dice ancora Giovanardi — di impegnarsi per 30 ore settimanali risulta troppo gravoso, perché non consente di lavorare o di studiare contemporaneamente».
Ma non è tutto. «C’è il problema dei grandi Comuni che chiedono 300–400 giovani volontari a volta, per destinarli a volte a lavori che finiscono per essere distanti dalle finalità del Servizio civile nazionale. Alcune Regioni si sono persino fatte la loro legge e impiegano i volontari per l’assistenza agli anziani o ai disabili».
Una riforma sembra a questo punto necessaria, per non svilire il Servizio civile e dare a quanti più giovani possibile l’opportunità di fare questa esperienza. «Ho insediato da pochi giorni una commissione — conclude Giovanardi — che sta lavorando ad un progetto di riforma. È arrivato il momento di ridefinire varie questioni, consentendo flessibilità dalle 20 alle 30 ore settimanali, retribuendo eventualmente di meno quelli che scelgono le 20 ore, chiedendo ai grandi Comuni di contribuire alla spesa, accordandosi con le Regioni perché seguano criteri nazionali, altrimenti stanno fuori dal Servizio civile».
Possono bastare queste misure per rilanciare l’istituto? Secondo Licio Palazzini, presidente dell’ARCI Servizio civile e membro della Consulta presso l’UNSC, «la flessibilità dell’impegno settimanale è un fatto positivo. Spesso i giovani che lavorano o studiano fanno fatica a mantenere l’impegno delle 30 ore, così assistiamo immancabilmente ad un tasso di abbandono che sta attorno all’11% annuo. Ma il punto fondamentale è un altro. Far capire che il Servizio civile non è un lavoro sottopagato ma un’esperienza di formazione e di educazione ai valori della solidarietà, della pace e della cittadinanza. Altrimenti tutto l’impianto ne è stravolto. Di questa degenerazione, spesso sono responsabili le stesse organizzazioni che presentano i progetti, per esempio tra gli enti locali, molti non riescono o non vogliono far capire che il Servizio civile non è un lavoro sostitutivo. Alcuni Comuni mettono il bando nella bacheca dei servizi pubblici. Anche le associazioni di volontariato non devono pensare soltanto che avranno più persone per fare più attività ma che la loro è una sfida educativa importantissima. Far crescere questi giovani».
Una delle criticità più grosse secondo Fausto Casini, fino a pochi giorni fa presidente della CNESC, la conferenza nazionale degli enti per il Servizio civile, è la crescita esponenziale degli enti accreditati. «Il Servizio civile nazionale — dice Casini — è diviso in due fette, il 55% gestito direttamente dallo Stato, il 45% dalle Regioni e dai Comuni. La difficoltà più grande è che a fronte di una diminuzione delle risorse, il numero degli enti accreditati presso l’Ufficio nazionale è cresciuto tantissimo. A fine 2007 gli enti erano in tutto 2.799. I primi anni i soldi c’erano perché venivano presi dal fondo costituito per gli obiettori di coscienza ma da quando la leva obbligatoria è stata sospesa e il Servizio civile è diventato volontario, quel fondo si sta esaurendo e i finanziamenti diretti annuali sono in diminuzione. Bisogna quindi operare su due fronti: riservare più risorse al Servizio civile nazionale e contemporaneamente garantire un servizio di qualità, mettendo a regime un sistema di pulizia che consenta di lasciare in vita chi opera con qualità e continuità, e di eliminare quegli enti che presentano progetti in modo discontinuo oppure che non ne garantiscono la qualità».
Mariolina Iossa
19 dicembre 2008